Nell’ultimo anno e mezzo si è sentito parlare fin troppo spesso di smart working. Ma quante di queste volte il termine è stato utilizzato davvero nel modo corretto?

I dati dell’Osservatorio dello Smart Working del Politecnico di Milano ci dicono che nel corso della fase più acuta dell’emergenza sanitaria lo Smart Working ha coinvolto la quasi totalità delle grandi imprese (ben il 97%) e delle pubbliche amministrazione (il 94%) e il 58% delle PMI, per un totale di più di 6 milioni di lavoratori agili. 

Someone working with his laptop

Ma cosa si intende veramente per smart working?

Troppo spesso lo smart working è accostato al telelavoro, ovvero alla possibilità di lavorare da casa (o comunque da un luogo diverso rispetto alla sede aziendale). Lo smart working, però, non è solo questo. Fare smart working significa organizzare la propria giornata lavorativa con estrema flessibilità fisica in termini di spazi lavorativi, di orario e di opportunità. Significa poter collaborare con chiunque, in qualsiasi momento, da qualsiasi parte del mondo. Per poter lavorare in modo agile è necessario ridefinire il modello organizzativo del proprio lavoro, sempre più composto da progetti da sviluppare con colleghi di differenti aree o reparti, focalizzati sul risultato e non su regole convenzionali.

Un esempio di smart working senza lavoro a distanza 

Lavorando su un progetto di riorganizzazione, abbiamo dovuto ridefinire gli spazi di lavoro proprio in un’ottica smart: l’ufficio, un grande open space, è composto da piccole aree per brevi riunioni, una sala per le riunioni più formali e un’area break molto accogliente con tavolo e sedie per brevi incontri informali. Il tutto “cablato” con strumenti per video conference e lavagne condivisibili tramite web.  

Le presenze sono autogestite mediante un portale dedicato che ogni collaboratore può compilare in autonomia. Le attività sono state suddivise in progetti e i vari step vengono verificati tramite uno stato di avanzamento bisettimanale. L’orario di lavoro è flessibile: non c’è un’ora precisa di ingresso e di uscita. Il risultato? Il personale oggi ha portato a termine quasi la totalità degli obiettivi e si è registrato un numero di ore di lavoro superiori all’orario normale, con ingresso medio alle ore 9:00.  

Se sei interessato al tema e vuoi approfondire meglio il nostro approccio allo smart working, qui trovi una delle nostre storie.

Open space office

Come cambia l’organizzazione del lavoro? 

Da un punto di vista organizzativo, con lo smart working si può dire addio ai classici orari d’ufficio affidando ai collaboratori obiettivi concreti da raggiungere. L’unica regola è ottenere i risultati previsti nei tempi prefissati, al massimo della qualità. Uno smart worker deve essere responsabilizzato ed educato alla gestione del tempo: si passa da una struttura di controllo alla fiducia, quale elemento chiave per il legame tra la direzione ed il lavoratore. Se inizialmente questo tipo di attività è molto difficile, nel medio-lungo periodo risulta essere la chiave per stimolare i propri collaboratori e mantenerli ingaggiati.  

Un approccio smart al lavoro impatta sulla cultura organizzativa aziendale. Il worker può determinare come, con chi, con quali strumenti, quando e dove svolgere il proprio lavoro. È il worker che riceve e attribuisce responsabilità sulla base di un meccanismo motivazionale che consente di migliorare sé stesso e l’organizzazione nella quale è inserito, in una relazione reciproca tra worker e organizzazione.


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